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[INTERVISTA] ROBERTO SCARPINATO SPIEGA LA SUA CANDIDATURA CON IL M5S: “SIAMO ALLA RESTAURAZIONE DELLA POLITICA DEI CLAN”
(Estratto intervista del Fatto Quotidiano)
L’EX PROCURATORE - In corsa a Palermo. Non solo lotta alla mafia: il magistrato voluto dai Cinque Stelle spiega il suo impegno contro gli interessi di pochi e in difesa della Costituzione: "I 5 Stelle non omologati, ergo bullizzati"
Dottore Scarpinato, perché ha scelto di impegnarsi in politica?
Per due motivi. Il primo è che nel gennaio scorso ho cessato di essere un magistrato a seguito del mio pensionamento e ho quindi riacquistato un diritto prima incompatibile con il mio ruolo. Il secondo è la consapevolezza che se tu non ti occupi della politica, la politica si occupa comunque di te.
Che intende?
Gli antichi Greci, inventori della democrazia, ritenevano un dovere primario di ogni cittadino occuparsi della politica, cioè della vita della Polis, perché avevano capito che non esistono vie di salvezza individuali. Se la Polis si ammala a causa della degenerazione oligarchica e autoritaria del potere, si ammalano anche le vite dei singoli.
Lei ritiene che oggi si stia rischiando una degenerazione del potere?
Siamo in una fase regressiva dello stato democratico che alcuni politologi definiscono come il ritorno della clanizzazione della politica. Il moderno stato costituzionale nasce dal superamento dei clan, cioè dei gruppi di potere locali che prima si contendevano a proprio esclusivo vantaggio le risorse dei territori. Oggi, venuti meno i grandi progetti collettivi, la contesa politica reale rischia di regredire a competizione tra clan sociali, gruppi di interesse, ristrette oligarchie interessate solo a spartirsi le risorse collettive.
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Lei perché ha scelto i 5 stelle? In passato aveva mai avuto proposte da altri partiti?
Non avevo mai ricevuto proposte da alcun altro partito. E a dire il vero non sono io che ho scelto i 5 Stelle, ma loro che hanno scelto me, proponendomi una candidatura. Per me si è trattato di una scelta difficile e sofferta.
Perché?
Dopo trent’anni di stress e di rinuncia a una vita normale dovuti al mio impegno in prima linea sul fronte dell’antimafia che mi ha procurato tanti nemici e odi, avevo programmato una progressiva fuoriuscita di scena e di dare priorità ai miei affetti familiari.
E invece?
Una parte di me aveva bisogno di pace e tranquillità, ma alla fine ha prevalso l’altra parte, quella che ha fatto propria la lezione degli antichi greci alla quale ho accennato all’inizio di questa intervista: se la Polis si ammala, se la democrazia avvizzisce, se la prepotenza si autolegittima rivestendosi della forza della legge, se l’ingiustizia sociale diventa normalità quotidiana e se non hai l’anima del prepotente o del servo, non vi sono vie di uscita e di salvezza individuali.
Cosa le ha detto Conte per convincerla ad accettare?
Mi ha assicurato che la questione mafia, cancellata in questa campagna elettorale dall’agenda degli altri partiti, sarebbe rimasta invece centrale in quella dei 5 Stelle, come del resto dimostra sia il fatto che la scuola di formazione politica del Movimento è stata inaugurata a Palermo con un seminario sul tema dei rapporti tra mafia e politica proprio mentre altri celebravano il ritorno in campo di Dell’Utri e Cuffaro o restavano silenti, sia l’impegno profuso dai 5 stelle in Parlamento per mettere a punto una riforma dell’ergastolo ostativo che scongiurasse il rischio di una fuoriuscita dal carcere di pericolosi boss mafiosi. Inoltre l’attacco concentrico e incessante di quasi tutto l’establishment di potere nei confronti dei 5 stelle per le riforme promosse allo scopo di ridurre le sacche di impunità dei colletti bianchi, come la riforma della prescrizione e la legge Spazzacorrotti – un attacco che ha spesso travalicato i limiti della fisiologica critica politica, trascendendo in forme di bullismo mediatico – è dal mio punto di vista, un segnale significativo che non sono integrati e omologati nel sistema e che quindi hanno una capacità di proposta e di mobilitazione politica che può muoversi nella giusta direzione come forza di resistenza contro le manovre dirette a ripristinare una giustizia classista forte con i deboli e debole con i forti.
E cosa ha chiesto lei a Conte prima di accettare la candidatura?
Ho detto che mi consideravo come un candidato indipendente e che, quindi, mi riservavo il diritto di esprimere sempre le mie idee e di manifestare il mio eventuale dissenso da scelte che non dovessi condividere. L’indipendenza ha segnato tutta la mia pregressa carriera di magistrato e mi è rimasta cucita nell’anima. Una indipendenza che è garanzia che la funzione pubblica – magistrato ieri, forse parlamentare domani – viene esercitata nell’esclusivo interesse e al servizio dei cittadini, facendo barriera insormontabile a interessi e pressioni di gruppi di interesse.